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Il papà del Jumbo

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Alzi la mano quell’adulto che, da bambino, non ha almeno una volta alzato gli occhi al cielo sentendo passare un aereo e sognando di poterlo un giorno pilotare. Ebbene Joseph Frederick Sutter, da casa sua vedeva tutti i giorni atterrare e decollare aerei dall’aeroporto di Boeing Field.


Solo che il piccolo Joe, nato nel 1921 da una famiglia slovena attirata in California da una delle tante febbri dell’oro a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, rivolse la propria passione non al pilotaggio, ma all’ingegneria aeronautica.

Svanito, come nel film di Chaplin, il miraggio di una facile ricchezza, il padre Franc aveva trovato lavoro nelle grandi macellerie di Seattle e si era stabilito in quella che allora era una periferia, a Beacon Hill. Sette anni dopo la nascita del figlio, proprio in quella zona fu costruito Boeing Field, e lì sorsero nel 1936 gli stabilimenti noti col nome di Boeing Plant 2.

Fu proprio in quegli stabilimenti che Joe mosse i primi passi della sua carriera, con un lavoretto part-time che gli consentì di racimolare i soldi con i quali pagare l’iscrizione alla facoltà di ingegneria aeronautica della University of Washington. Si era nell’estate del 1940, e la sua carriera universitaria fu ben presto interrotta dalla guerra.

Arruolato in Marina, Joe continuò i suoi studi dopo il 1945 alla Navy’s Aviation Engineering School, e la prima proposta di lavoro non tardò ad arrivare. Non veniva però dall’aeroporto “sotto casa”: a volere quel giovane ingegnere era infatti la Douglas, sempre in California, ma molto più a sud, dalle parti di Los Angeles.

Il primo amore non si scorda mai, è vero, ma forse Joe lo avrebbe volentieri dimenticato, anche perché l’offerta che in quei giorni gli arrivò anche da Boeing era molto meno allettante di quella di Douglas. A fargli cambiare idea fu, ironia della sorte, proprio l’amore… nelle vesti della moglie Nancy, nativa di Seattle e restia all’idea di dover cambiare casa.

Fu così che Joseph Frederick Sutter, rimasto a lavorare nell’aeroporto “sotto casa”, finì col diventare il papà del Jumbo.

747: Creating the World's First Jumbo Jet and Other Adventures from a Life in Aviation è il titolo del libro che narra i suoi 40 anni di carriera alla Boeing, e tra queste “other adventures” c’è anche quella della collaborazione con Jack Steiner, mitico disegnatore della Boeing, che diede i natali ad un altro ultracinquantenne di successo, il bimotore B-737.

Fu proprio Sutter ad avere l’idea di far tornare i motori “nel posto adatto a loro”, e cioè sotto le ali, mentre nel predecessore B-727, e nei rivali BAC-111, Douglas DC-9 e Fokker F-28, essi erano situati più in alto e più indietro, in prossimità della coda. Era una scelta impopolare e azzardata, poiché si riteneva che la vicinanza col terreno avrebbe esposto i motori al rischio di aspirare corpi estranei durante i movimenti al suolo, ma Sutter fu deciso.

Deciso e lungimirante, se si pensa che questa soluzione è oggi universalmente accettata. E la stessa decisione e lungimiranza la dimostrò subito dopo, quando gli toccò l’ingrato compito di provare a trasformare in successo quello che nasceva come un insuccesso.

Tra il 1963 e il 1965 l’aviazione militare statunitense aveva indetto una gara per un quadrimotore cargo strategico di grosse dimensioni alla quale Boeing partecipò. Ad aggiudicarsi la commessa fu però Lockheed col suo Galaxy C5, e qualcuno a Seattle pensò di non buttare via quegli anni di lavoro, provando a riadattare quei disegni per un uso civile. A capo del progetto, Joe Sutter.

Lungo sarebbe elencare tutte le novità e le soluzioni geniali che il Jumbo Jet ha introdotto nel mondo dell’aviazione commerciale, a cominciare da quella sua gobba che all’inizio sembrò forse un po’ goffa, ma che, ereditata dal progetto originale concepito per partecipare alla gara dell’aviazione militare, aveva una sua spiegazione: i piloti erano relegati “lassù” per consentire al naso dell’aereo di aprirsi, come una gigantesca porta, per facilitare le operazioni di carico.

E quella caratteristica fu mantenuta, perché in un’epoca in cui nasceva il Concorde e la stessa Boeing era impegnata a cercare di realizzare il suo modello SST (SuperSonic Transport) 2707 si riteneva che il futuro del trasporto passeggeri fosse nella velocità. Così si volle mantenere inalterata la facilità di carico, pensando a un futuro impiego cargo, e i piloti restarono confinati in quella che sembrò la gobba della Balena Bianca di Achab. E che all’inizio pareva buffa, ma poi diventò un salottino, poi una top class di eccezione, e alla fine si espanse all’indietro, fino a dettare alla concorrente Airbus (decenni più tardi) un aereo, l'A-380, dotato di doppio ponte.

Perché la stagione del supersonico civile è durata pochi decenni, ma il 747 di Joe Sutter continua a oltre 50 anni di distanza dal primo volo a solcare i cieli, ed è ormai diventato un’icona del trasporto aereo di massa: the queen of the sky, il primo wide-body e secondo molti (segnatamente i piloti che lo hanno portato a spasso per i cieli del mondo) a tutt’oggi il migliore.

Un’icona dei cieli che ha finito col sopravvivere anche al suo papà, il “papà del Jumbo”, perché Joe Sutter, il figlio del cercatore d’oro, ci ha lasciato nell’ultimo giorno di agosto del 2016, e lo scopo di questo articolo è appunto quello di celebrare la sua memoria.

(5 settembre 2016)

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